Il M5S capitola sulla controriforma della giustizia

Mentre il M5S era nel pieno della crisi per la contesa di potere tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, il premier Draghi ha approfittato del suo sbandamento per sferrargli altri due colpi demolitori che ne riducono ulteriormente il già marginale peso politico nella maggioranza. Con la scusa che ce la chiede l'Europa per concedere i soldi del PNRR, il banchiere massone ha accelerato sulla controriforma della giustizia Cartabia, che archivia la precedente “riforma” Bonafede, uno dei cavalli di battaglia del M5S. E già che c'era ha accentrato nelle sue mani il vertice della Rai, nominando senza consultare nessuno sia il presidente che il direttore generale, tagliando così fuori dalla partita lo stesso M5S che pure deteneva quest'ultima carica.
Ma è stata senz'altro la liquidazione della Bonafede e l'aver dovuto ingoiare al suo posto la controriforma Cartabia, votandola nel Consiglio dei ministri dell'8 luglio all'unanimità con PD, LeU e i trionfanti renziani, berlusconiani e fascioleghisti, la sconfitta più umiliante per il Movimento. Formalmente infatti la controriforma della ministra della Giustizia mantiene inalterata la durata attuale della prescrizione, compreso il fermo del conteggio dopo il processo di primo grado, che era la principale novità introdotta dal suo predecessore per chiudere la stagione delle leggi “ad personam” di Berlusconi e per ottemperare ai richiami della Corte europea sui troppi processi finiti in prescrizione in Italia. Ma stabilendo che i processi di appello devono essere conclusi entro due anni e quelli in cassazione in un anno, dopodiché decadono per “improcedibilità”, la prescrizione viene ripristinata sotto altro nome, e con con una durata nettamente inferiore a quella attuale.
Ciò non ha nulla a che vedere con la giusta e sentita esigenza di processi rapidi ed equi, sia per gli imputati che per le vittime, che si può assicurare solo aumentando gli organici e le dotazioni, depenalizzando i reati minori, incentivando i patteggiamenti e snellendo le procedure, ma piuttosto la controriforma di Draghi e Cartabia strumentalizza tale annosa esigenza per creare una giustizia a maglie larghe e piena di scappatoie solo per gli imputati “eccellenti”: politici, amministratori pubblici, “forze dell'ordine”, imprenditori, manager ecc.
 

Gli effetti nefasti della controriforma di Draghi e Cartabia
È evidente infatti che un simile meccanismo aggrava ulteriormente il carattere di classe della giustizia borghese, perché sarà molto più facile per chi ha soldi in abbondanza e i migliori avvocati tirare per le lunghe i procedimenti in appello e in Cassazione per farli decadere. Il fatto che per costringere i ministri del M5S ad ingoiare il rospo, oltre alle minacce Draghi abbia loro concesso la foglia di fico dell'allungamento a tre anni per l'appello e ad un anno e mezzo per la Cassazione, per i processi riguardanti reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione ecc.), non cambia la sostanza classista del provvedimento. Infatti i due (o tre) anni per celebrare l'appello decorrono non dalla prima udienza, bensì dal ricorso in appello, e normalmente passano diversi mesi e spesso anche un anno, prima che il processo approdi effettivamente in aula.
Inoltre, come molti autorevoli magistrati e la stessa loro associazione ANM, e soprattutto presidenti di corti d'Appello, come quella di Napoli, hanno denunciato, la controriforma Cartabia porterà alla morte di qualcosa come 150 mila processi, anche di mafia, perché a causa degli enormi arretrati ancora da smaltire in alcune realtà più critiche, come Napoli, Roma, Reggio Calabria e altre (solo a Napoli ci sono ben 57 mila processi di appello ancora da effettuare, di cui molti per camorra), i nuovi processi andranno in coda e diventeranno improcedibili prima ancora di poter essere iniziati. D'altra parte la controriforma farà aumentare i ricorsi in appello a detrimento dei procedimenti abbreviati, perché non scoraggia i ricorsi palesemente pretestuosi, escludendo come fa la possibilità dell'aumento di pena e l'eliminazione del concordato in appello; tramite i quali l'imputato, oltre a non rischiare nulla se l'appello va male, può pure patteggiare uno sconto di pena durante il processo.
Con questa controriforma, insomma, sarebbero andati sicuramente al macero processi come quello per il G8 di Genova e quello per l'ex Ilva di Taranto, e il processo Stato-mafia, quello per il crollo del ponte Morandi e quello che ci sarà per la mattanza nel carcere di S. M. Capua Vetere, rischiano di fare la stessa fine di quelli già morti con la vecchia prescrizione, come il processo Eternit per i morti da amianto, quello per i morti della Moby Prince e quello per i morti del disastro di Viareggio.
Per una più approfondita trattazione degli effetti nefasti della controriforma Cartabia si veda l'articolo ad essa dedicato in questo stesso numero del giornale. Per completare invece questa sua descrizione sommaria basti aggiungere che è previsto anche un “indirizzo” che il parlamento darà ogni anno alla magistratura sulle “priorità” da rispettare nella scelta delle inchieste da effettuare e dei processi da istruire. Il che realizza il sogno dei partiti del regime neofascista di condizionare l'indipendenza dei magistrati manomettendo il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale. Non c'è da meravigliarsi che il plurinquisito Renzi e i suoi compagni di merende Salvini e Berlusconi abbiano gioito spudoratamente del via libera alla Cartabia, avvertendo che non sarà tollerata alcuna marcia indietro dei pentastellati in parlamento, altrimenti chiederanno che sia abolito l'allungamento dei termini per i reati di corruzione.
 

Come il M5S ha capitolato sulla Cartabia
Come si è arrivati a questa vera e propria capitolazione sulla Cartabia dei ministri Cinquestelle, Di Maio, Patuanelli, D'Incà e Dadone? Dopo aver cercato invano di far rinviare il voto in cdm nell'attesa di un accordo tra Conte e Grillo, a cui stava lavorando un “comitato di 7 saggi” guidato da Fico e Di Maio, i parlamentari del M5S, senza ancora un capo politico e nella confusione più totale (solo pochi giorni prima si erano spaccati sul voto che dà via libera al faraonico e inutile ponte di Messina), impegnavano i quattro ministri a respingere la Cartabia, o quantomeno ad astenersi. Era questa dell'astensione la posizione su cui spingeva anche Conte tramite i parlamentari a lui più fedeli. Ma secondo una rivelazione de Il Fatto Quotidiano , non smentita da Palazzo Chigi, Draghi ha telefonato a Grillo e questi a sua volta ha telefonato a ciascun ministro per convincerli a votare tutti la controriforma, cosa che poi è avvenuta. C'è chi si è chiesto se sulla decisione di Grillo abbia pesato anche il processo per stupro di suo figlio, che potrebbe andare in fumo grazie alla Cartabia. Il dubbio è più che legittimo.
A loro volta i quattro ministri hanno cercato di giustificarsi dicendo di aver ottenuto il massimo possibile da chi voleva cancellare completamente la Bonafede, e che Draghi si sarebbe infuriato mettendo nel piatto le sue dimissioni e minacciando la crisi di governo. Cosa poco credibile, a meno che non fosse solo un bluff, visto che quando la Lega ad aprile si astenne sul decreto riaperture giudicandolo troppo “prudente” il banchiere massone non fece una piega. Sia come sia l'asse ormai consolidata Grillo-Di Maio-Draghi l'ha avuta facilmente vinta, provocando però per contraccolpo il collasso nervoso dei gruppi parlamentari e un'esplosione di indignazione e proteste da parte degli iscritti e degli elettori, che col governo Draghi hanno visto ammainare e calpestare una per una le poche restanti bandiere del Movimento: dalla finta transizione ecologica del loro amico Cingolani al cash-back di Conte, e ora la cosiddetta “spazzacorrotti” di Bonafede, in attesa di ammainare anche il Reddito di cittadinanza che è già nel mirino di Renzi e Salvini, e presto lo sarà anche di Draghi. “Siamo soddisfatti perché oggi si chiude definitivamente l'era Bonafede. I Cinque stelle hanno voluto un contentino last minute per digerire la loro sonora sconfitta”, li sfotteva beffardamente la capogruppo di Italia Viva in commissione Giustizia della Camera, Lucia Annibali.
 

La diarchia Conte-Grillo per governare il M5S
Conte invece non ci stava, intravedendo col cavalcare la protesta dei gruppi parlamentari che chiedevano un'assemblea con la presenza dei quattro ministri per chiedere loro conto della capitolazione, un'occasione per rilanciare la sua candidatura a leader effettivo e non di paglia del M5S. O, in alternativa, per creare un suo partito personale portandosi via quanti più senatori e deputati possibile tra quelli che cominciavano a interrogarsi se valesse ancora la pena di stare nel governo. Intervenendo a un evento di Confindustria Giovani, l'ex premier ha dato infatti voce alla protesta della pancia del M5S, e anche di diversi big del Movimento, contro l'intesa tra Grillo e Draghi, dichiarando: “Non canterei vittoria, non sono sorridente in particolare sull’aspetto della prescrizione, che rappresenta il ritorno a quella che è un’anomalia italiana”.
Grillo aveva rotto clamorosamente con Conte a giugno, bocciando la sua bozza di nuovo Statuto del M5S col quale l'ex premier cercava di prenderne la testa ridimensionando i poteri monarchici del “garante”. Lo scontro si era concentrato soprattutto sui poteri di gestione della comunicazione e della politica estera del Movimento, che Grillo non voleva assolutamente mollare a Conte. Un anticipo di tale scontro su comunicazione e politica estera lo si era visto il 12 giugno, nel giorno di apertura del G7 in Cornovaglia, con la provocatoria visita di Grillo all'ambasciata Cinese. Conte non aveva voluto accompagnarlo, adducendo “impegni e motivi personali”, ma in realtà per non “sporcare” la sua credibilità internazionale e il suo futuro politico di fronte ai leader euroatlantici.
 

Conte cerca di aumentare il peso del M5S nel governo
La contesa di potere tra i due era stata molto violenta, con Grillo che aveva sbeffeggiato e insultato l'avvocato, mentre questi valutava la possibilità di farsi un suo partito con un pezzo del Movimento. La ribellione provocata dalla capitolazione sulla Cartabia ha costretto però Grillo a cedere qualcosa per evitare una possibile scissione del M5S e a “riappacificarsi” con l'ex premier nel quadro di una diarchia di fatto, anche se Conte la nega. I due si sono infatti spartiti i poteri, con quelli di indirizzo politico a Conte, che sarà il presidente e l'amministratore delegato, e quelli di “garante” dei valori e dello Statuto a Grillo, il quale però ha conservato la sua carica a vita e il potere di cacciare lo stesso Conte.
Quest'ultimo, forte del suo ruolo di capo politico, progetta adesso di far valere di più il peso del M5S nel governo, cominciando col cercare di ottenere qualche modifica “tecnica” alla Cartabia, incoraggiato anche dalla timida apertura di Letta. E' questo che ha chiesto a Draghi nell'incontro che ha ottenuto con lui, così come ha chiesto di migliorare il Reddito di cittadinanza, ma senza abolirlo, ed ha avanzato le perplessità del Movimento sulla transizione “poco ecologica e molto tecnologica” di Cingolani.
Bisognerà vedere però fino a che punto Draghi vorrà adattarsi alla nuova situazione cedendogli qualcosa per dargli soddisfazione, o piuttosto non sceglierà di metterlo con le spalle al muro, adducendo le solite priorità del PNRR e mettendo la fiducia sulla Cartabia. Confidando anche nell'asse con Grillo e Di Maio, che non vogliono assolutamente far saltare il governo, e nel muro compatto di IV, FI e Lega. A quel punto si vedrà se l'ex dittatore antivirus avrà il coraggio di mettersi davvero di traverso a una delle “riforme” portanti del programma dell'osannato banchiere massone e difesa a spada tratta dalla stragrande maggioranza dei corrotti politicanti del regime neofascista.
 

21 luglio 2021